04 maggio 2013

 

Vito Faenza a Telese alla "Settimana della Legalità"

di Mena Riccio 3aT1

Oggi  3 maggio 2013,   presso la sala Telesi@ del Polo Tecnologico, è intervenuto, nella circostanza della “settimana della legalità”, lo scrittore e giornalista Vito Faenza, accompagnato  dal vicesindaco di Telese Terme Gianluca Aceto  e dal giornalista Billy Nuzzolillo, cogliendo l’occasione per presentare il  libro del Faenza  dal titolo “L’isola dei fiori di cappero”.

La capacità dello scrittore di rendere partecipi noi ragazzi, magari con qualche chicca simpatica  ci ha permesso di recepire al meglio il messaggio voluto trasmettere con questo incontro:  amare la cultura perché è lo strumento che permetterà a noi, futuri uomini del domani,  di intraprendere la nostra strada evitando magari quella più semplice che quasi sicuramente sarà quella sbagliata. “Se ho salvato un ragazzo ho salvato il mondo” è così che lo scrittore Vito Faenza ha “giustificato” la sua partecipazione a questi eventi scolastici: non voler più vedere ragazzi buttare la propria vita nelle mani della camorra, non voler più inorridire alle notizie della morte di giovani, vittime magari di vendette, colpevoli solo di trovarsi in quel luogo e in quell’istante.

Faenza con questo incontro ha cercato  di persuadere i ragazzi a scegliere la strada più impegnativa  che però,  con il tempo,  renderà tutti gli sforzi compiuti raccontando la storia di Anna. Lei è una ragazza di  soli tredici anni, colpevole solo di essere carina, che per un piccolo sbaglio da adolescente lusingata da  attenzioni mai ricevute, ha dovuto subire tutta  la sua vita senza  avere la possibilità di viverla, impotente davanti al regime di “Lui”, come viene chiamato nel libro, e di suo padre, il “Boss”. Nonostante tutto le andasse contro ha trovato il coraggio di ribellarsi a ciò che le era stato imposto, studiando e  imparando l’arte della diplomazia, riuscendo a coronare il proprio sogno: vivere una vita piena d’amore senza la paura di essere uccisa da un momento all’altro, o di subire la vergogna di vedere il proprio marito in carcere. Questa a mio avviso è una storia di coraggio a dimostrazione del fatto che con la cultura e con la volontà di tutti si può combattere anche ciò che, proprio come nel paesino in cui viveva Anna, sembra radicato nella nostra terra da sempre in modo che la camorra  non venga  considerata più come un’istituzione essenziale, ma come una malattia da dover  debellare.  E come Anna pensa guardando la marcia contro  la camorra sfilare sotto casa sua: “ lottate anche per mio figlio,per Giovanni,per me. Io non l’ho potuto fare, ero da sola.”, bisogna lottare, lottare per chi non può più farlo, o per chi, come Anna, è vittima della sua  stessa vita.