Oggi
3 maggio 2013,
presso la sala Telesi@ del Polo Tecnologico, è
intervenuto, nella circostanza della
“settimana della legalità”, lo scrittore e
giornalista Vito Faenza, accompagnato dal
vicesindaco di Telese Terme Gianluca Aceto e
dal giornalista Billy Nuzzolillo, cogliendo
l’occasione per presentare il libro del Faenza
dal titolo “L’isola dei fiori di cappero”.
La capacità dello scrittore di rendere partecipi
noi ragazzi, magari con qualche chicca simpatica
ci ha permesso di recepire al meglio il
messaggio voluto trasmettere con questo
incontro: amare la cultura perché è lo
strumento che permetterà a noi, futuri uomini
del domani, di intraprendere la nostra strada
evitando magari quella più semplice che quasi
sicuramente sarà quella sbagliata. “Se ho
salvato un ragazzo ho salvato il mondo” è così
che lo scrittore Vito Faenza ha “giustificato”
la sua partecipazione a questi eventi
scolastici: non voler più vedere ragazzi buttare
la propria vita nelle mani della camorra, non
voler più inorridire alle notizie della morte di
giovani, vittime magari di vendette, colpevoli
solo di trovarsi in quel luogo e in
quell’istante.
Faenza con questo incontro ha cercato di
persuadere i ragazzi a scegliere la strada più
impegnativa che però, con il tempo, renderà
tutti gli sforzi compiuti raccontando la storia
di Anna. Lei è una ragazza di soli tredici
anni, colpevole solo di essere carina, che per
un piccolo sbaglio da adolescente lusingata da
attenzioni mai ricevute, ha dovuto subire tutta
la sua vita senza avere la possibilità di
viverla, impotente davanti al regime di “Lui”,
come viene chiamato nel libro, e di suo padre,
il “Boss”. Nonostante tutto le andasse contro ha
trovato il coraggio di ribellarsi a ciò che le
era stato imposto, studiando e imparando l’arte
della diplomazia, riuscendo a coronare il
proprio sogno: vivere una vita piena d’amore
senza la paura di essere uccisa da un momento
all’altro, o di subire la vergogna di vedere il
proprio marito in carcere. Questa a mio avviso è
una storia di coraggio a dimostrazione del fatto
che con la cultura e con la volontà di tutti si
può combattere anche ciò che, proprio come nel
paesino in cui viveva Anna, sembra radicato
nella nostra terra da sempre in modo che la
camorra non venga considerata più come
un’istituzione essenziale, ma come una malattia
da dover debellare. E come Anna pensa
guardando la marcia contro la camorra sfilare
sotto casa sua: “ lottate anche per mio
figlio,per Giovanni,per me. Io non l’ho potuto
fare, ero da sola.”, bisogna lottare, lottare
per chi non può più farlo, o per chi, come Anna,
è vittima della sua stessa vita. |