12 febbraio 2013

 

Un testamento di centomila morti.

All’I.I.S. Telesi@ si discute sulla Costituzione, dalla poesia alla letteratura fino agli appunti di Calamandrei: la lezione del prof. Casucci  tra senso civico e riscoperta della dignità italiana

di Matteo Di Donato

“La letteratura è volta all’illegalità”. Pausa. Siamo troppo abituati ai clichè tradizionalisti che la frase ci sconvolge. L’inchiostro sulla carta prende forma e misura di reato. La poesia non fa ordine e realtà come la legge. Ricerca la verità ma non pretende di essere evidente. De-razionalizza, personalizza, codifica le esistenze attraverso il linguaggio delle emozioni. Ripristina le parole nella coscienza delle lettere. Diviene ricerca di mancanze, trasgressione de facto ai limiti imposti de iure. L’antitesi (apparente) dell’accezione del diritto: esercizio della forza attraverso la legittimità,  l’estetica delle cose, la disciplina dell’esteriorità di Russell, la “x” di Kelsen a fondamento del giuspositivismo sociale e razionale. Il rapporto tra diritto e letteratura è complesso ed intricato, una matassa di fili che si spezzano e riallacciano. Ubi societas ibi ius. Nasce l’interpretazione, l’accettazione giuridica di norme comportamentali all’interno di organi statali, il dover essere kantiano si uniforma al legiferare dell’ordinamento positivo. È la prima forma di “sussunzione” delle sfere particolari sotto l’universale: la morale (prima astrazione intellettuale e deontologicamente imperfetta) si concretizza nelle tutela delle relazioni sociali. Il triangolo letteratura-diritto, diritto-letteratura si completa. E la Costituzione si rivela l’esplicazione più evidente.

 All’assemblea di Istituto del Telesi@, interviene Felice Casucci , professore ordinario alla facoltà di Diritto Comparato, Docente di “Diritto e Letteratura” e Direttore del “Centro Studi di Diritto Comunitario”, presso l’Università degli Studi del Sannio. Tema della trattazione la Costituzione Italiana, un excursus giuridico ed inter-disciplinare, dalla poesia confessionale (in ricordo di Sylvia Plath) al rapporto tra diritto e letteratura in P.Grossi e De Amicis (“La civiltà di un popolo si vede nel modo in cui sta in strada” – libro Cuore) passando per gli appunti della Costituente di Pietro Calamandrei e il moderno (nuovo) Umanesimo giuridico.  

 -E che cos’è?- Verrebbe da chiedersi.  Il concetto di “Umanesimo giuridico” è indissolubilmente legato al relativismo della democrazia ed all’assenza di dogmatismo etico (dove per etica si intende l’agire misurato). Non esistono valori assoluti, certezze storicamente inconfutabili, principi di astrazione universale. Il diritto romano è tanto valido quanto lo sono i diritti nazionali. Lo ius è calato nel reale (per dirla con De Sanctis. È l’essenza della società nei pantaloni del presente, la concretizzazione delle manifestazioni umane nella quotidianità, che inevitabilmente ci riguarda e condiziona. Un po’ il giudice democratico di B.Brecht, l’uguaglianza sostanziale oltre (e dentro) quella formale, la prosa dei colori e delle sfumature contro l’aridità scientifica (la trasformazione graduale di Calamandrei). Il diritto alla diversità. È quindi lo Stato che forma il cittadino o il cittadino che fonda lo Stato? Esistono dei diritti naturali presenti a priori o è il giuspositivismo stesso a riconoscere e poi fondare il patrimonio “inviolabile” dell’uomo? Da un lato le “statolatrie” di Hobbes, Rousseau ed Hegel, dall’altro l’individualismo positivo di Tocqueville, Stirner e l’oltre-moralità di Nietzsche. Il legiferare ossessivo della Modernità, teso ad invadere ogni aspetto sociale e relazionale del reale, può offuscare i valori e il significato della morale emotivamente intesa? È la stessa domanda che si pone Zagrebelsky nel suo “Intorno alla legge” ed è lo stesso spunto di riflessione che vogliamo comunicarvi. Nella speranza che, prima o poi, Antigone batta Creonte.

Alleghiamo alcuni passi del discorso di Pietro Calamandrei pronunciato nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il 26 gennaio 1955 e rivolto principalmente ai giovani. In un tempo di instabilità politica, economica e sociale, La Costituzione Italiana è la base della rivoluzione culturale che ci attende. Base del diritto e fondamento delle leggi positive, sintesi di letteratura e pragmaticità,  diritti e doveri (che non possono essere scelti o abbandonati per abnegazione di responsabilità), riscoperta del significato di essere persona. Le conquiste della Storia e i sacrifici del passato hanno l’obbligo di essere difesi e rispettati. Applicati, realizzati, non venduti. Esistono altre forme di dissenso, violare i propri compiti è mancanza di impegno e solidità. È il diritto che nasce dal dovere e non viceversa. Devo quindi posso. Oltre l’apatia ideologica e sociale, al di là dell’indifferentismo generazionale, per semplice, limpida e chiara onestà intellettuale. La democrazia non richiede niente a nessuno, ma ha bisogno molto da tutti. Anche quando non sentirsi cittadini sarebbe molto più facile. E conveniente.

“Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei giovani. “La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiella, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”. Questo è l’indifferentismo alla politica. E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica. La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo.

Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.”

Pietro Calamandrei.