04 febbraio 2013

 

Parole

di Francesca Acanfora                                                                         fotogallery

Strana l’arte: si lascia usare da tutti e nelle mani di ognuno ha un colore diverso, un fine diverso.

Le parole. Ah, le parole! Senza parole, forse, tante bocche adesso potrebbero parlare! Perché le parole ad occhi belli sembrano belle, ma ad occhi insanguinati sembrano coltelli.

Le parole si scrivono, si dicono, si leggono, si recitano, si urlano, si mormorano.

Urlare è proprio di quelle persone che non conoscono la potenza delle parole che stanno dicendo, e credono che le loro urla possano caricarle del senso necessario.

Mormorare è proprio di quelle cose che racchiudono in sé i segreti: la neve mormora. Le betulle di Auschwitz mormorano. I libri mormorano. Mormorano nella mente del bambino che sorridendo sta viaggiando insieme all’inchiostro; mormorano sulle righe che il ragazzo studiando appunta; mormorano quando, sui roghi, bruciano. Perché anche se l’uomo brucia i libri, sono loro che avranno sempre l’ultima parola. È il fuoco stesso che col suo rombo grida al boia la sua ignoranza, grida che la memoria umana che non potrà essere cancellata mai: “Avremmo perduto persino la memoria, insieme con la voce, se fosse in nostro potere il dimenticare quanto il tacere”, scrisse già Tacito, nella Vita di Giulio Agricola, in riferimento ad uno dei primi assassinii di libri. “I Konias di tutto il mondo vanamente bruciano libri, e quando quei libri hanno registrato qualcosa che vale, si sente solo la risata silenziosa dei libri bruciati”[1].

Era un monito quello di Bradbury, quello che le sue righe mormorano in Fahreneit 451: bisbigliano il crepitare del fuoco che mangia i libri e gridano lo stridore del silenzio che sentiremmo se lasciassimo annientare la nostra cultura da un nuovo Konias.

Le parole! Con le parole posso far sembrare verità quello che è assurdo, basta che chi mi sta ascoltando sia una folla di ignoranti. Infatti il nazionalsocialismo fu “La rivolta dei meno civilizzati contro la ragione e i suoi difensori”[2]. “L’uomo tedesco del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere. È a questo scopo che noi vogliamo educare”. Vedete? Joseph Goebbels pretende di educare bruciando i libri! È così che giustificò il rogo del 10 maggio 1993. E paradossalmente continua “Da queste macerie la fenice avrà una nuova e trionfale ascesa”. No! L’unica ascesa che può nascere dall’ignoranza è quella dell’odio. Quell’odio che ha convinto i nazionalsocialisti della colpevolezza degli Ebrei; odio che ha giustificato le leggi razziali, la persecuzione, la guerra, la Shoah. Ancora Goebbels dimostra una straordinaria capacità persuasiva nell’affermare: “Tutti gli ebrei in virtù della loro razza sono parte di una cospirazione internazionale contro la Germania nazionalsocialista. Vogliono la sua sconfitta e il suo annientamento e faranno tutto il possibile per realizzare l’obiettivo. Che essi non facciano nulla di ciò all’interno del Reich non è certo un segno della loro fedeltà, ma piuttosto indice delle misure appropriate che abbiamo preso contro di loro.”[3] Da qui l’indicibile missione della “igiene sociale”. Già, igiene. Come se un uomo possa essere cancellato dalla faccia della terra con un colpo di spugna, come se fosse una brutta macchia su un volto pulito. Un volto però cattivo, “Il suo occhio è azzurro”[4], e le guance sono imbrattate di sangue “e questo sangue odora come nel giorno / quando il fratello disse all’altro fratello: <<Andiamo ai campi>>”[5].

 

Quanto è breve il passo tra il bruciare i libri e i corpi! Per questo abbiamo il dovere e la “responsabilità di ricordare queste colpe che la civiltà non può tollerare che vengano ignorate perché non potrebbe sopravvivere se fossero ripetute. Un patologico orgoglio, una crudeltà, un’ossessione per il potere hanno portato alla conversione del mero antisemitismo in un deliberato progetto di sterminio degli ebrei in Europa. Ricordiamo per non ripetere, così che uomini e donne di buona volontà e di ogni Paese possano vivere la loro vita non sotto l’egida di un uomo ma sotto quella della legge.”[6]

Oggi continuiamo a bruciare l’inchiostro: l’antica biblioteca di Timbuctù è stata distrutta.

Da qui è partita la profonda riflessione degli alunni del triennio del Liceo classico[7], coordinati dai professori Angelo Mancini e Carmine Collina, in un reading letterario, “Bruciare lo spirito per bruciare i corpi. La notte del 10 maggio 1933”. I ragazzi hanno saputo interpretare con tutta la loro anima brani tratti dalle opere precedentemente citate, dimostrando profonda sensibilità e coinvolgendo un pubblico toccato e interessato, stimolato e grato; hanno avuto la sensibilità di esprimere anche con la musica concetti troppo difficili da dire soltanto a parole e, rispettosamente, hanno tradotto la tragedia del fratricidio con l’esecuzione di un brano significativo del tema del film Shindler’s List. Eppure, nella tristezza che nasce ogni volta rileggendo questa brutta pagina di storia (che non bruceremo mai), siamo partiti con un messaggio di speranza, quello di Charlie Chaplin in Il grande dittatore: “Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Più che macchinari, ci serve umanità, più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza, e tutto è perduto. E qualsiasi mezzo usino (i dittatori), la libertà non può essere soppressa. Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: "Il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo". Non di un solo uomo, o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini! Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Quindi, in nome della democrazia, usiamo questa forza. Uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza”.

 

Grazie a questa antologia di brani, ci è stato ribadito ulteriormente il nostro obbligo morale di ricordare questi eventi, non con una memoria celebrativa che a lungo andare distorce la tragedia in necessaria fatalità, ma con una memoria emotiva, avulsa dalla data particolare ma sempre viva, che sia una contrizione costante, che ci spinga a vietare a qualsiasi moderno Hitler di mettere le grinfie sui nostri amati libri. Si dice: “I figli son pezzi di cuore”; beh, ognuno di noi dovrebbe sentire anche i libri come pezzi di cuore, pezzi di anima. Noi non ce ne rendiamo conto, ma sono i libri di tutte le epoche  che hanno determinato il nostro modo di essere, di pensare, di vivere: noi siamo il frutto di una stratificazione culturale formidabile.

Se potessi tagliare a fettine l’anima di un uomo moderno e quelle fette rilegarle a mo’ di libro, leggerei la storia dell’arte di tutti i tempi: Dante + Raffaello + Klimt + Ungaretti + Goethe + Cicerone + Cartesio + Garibaldi ... = IO! Se bruci loro, bruci me.


[1] Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa

[2]  Heinrich Mann, Der Hass (L’odio)

[3] Da Gli ebrei sono colpevoli!

[4] Paul Celan, Fuga di morte

[5] Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo

[6] Liberamente tratto dal discorso di Jefferson nel film Processo di Norimberga

[7] Lettori: Armando Di Santo, Brunella Lupo, Daniela Del Vecchio, Irene Altera, Livio Landolfi, Margherita Carafa, Maria Federica Viscardi, Marianna Tescione, Mariarosaria Cappelletti, Riccardo Di Paola, Saverio Simonelli, Simona Lavorgna. Musicisti: Armando Di Santo, Giovanni Mele. Video: Fabio Martinisi