Avere un laboratorio
teatrale è di grande impegno umano e didattico
anche perché noi miriamo a
salvaguardare il concetto di labor,
adoperando le strategie della teatralità: aule
piccole e distorte come improbabili
palcoscenici, giovani uomini e donne al posto di
maschere, insegnanti di letteratura che si
sostituiscono a blasonati esperti. Perché? Non
siamo esperti di teatro ma esperti di ragazzi e
gestire un laboratorio teatrale è diventare il
direttore di un’orchestra, di un gruppo di
musicisti attirati dal desiderio di raccontare
se stessi. Noi crediamo in un unico progetto,
quello del giovane uomo e della giovane donna
che abbiamo di fronte, il progetto che ha come
finalità quella di favorire la sua apertura al
mondo, permettere che si realizzi il suo
progetto emotivo, indurlo ad uscire dalla
solitudine affinché inizi il suo viaggio.
Ecco, prima di tutto c’è
l’idea che diventa personaggio e si incastona in
una storia. Allora bisogna trovare la storia
giusta, il personaggio adatto a quegli occhi che
ti stanno di fronte ed aspettano; e qual è il
principio di scelta? Nessuno, la sensazione….
Un giorno di ottobre te
li vedi lì, sulla soglia della porta dell’aula:
“No, vengo solo per vedere, non mi interessa
recitare…ho accompagnato il mio amico, la mia
amica.” E hanno ragione: nel nostro laboratorio
teatrale non si recita, certo nessuno di noi
consce la dizione e le regole della messa in
scena, tanto meno i metodi di immedesimazione,
allora è chiaro che quel ragazzo fa al nostro
caso: non vuole recitare, vuole raccontare se
stesso, eccolo il nostro poeta sognante.
Cerchiamo un copione e una storia. Il nostro è
un copione in completa trasformazione, si
cambiano le parti si cuciono nuovi personaggi:
si impara un nuovo linguaggio, quello delle
emozioni e dei sentimenti che stanno alla base
della pagina di ogni libro, di qualsiasi autore,
di tutte le poesie del mondo.
L’emozione come scopo
ultimo, la volontà di insegnare a mettersi alla
prova, a essere se stessi, a non lasciarsi
vincere dalle difficoltà raccogliendo ogni
sfida.
E’ un’esperienza
ripetibile? è un modello? Non lo sappiamo. Si
realizza pienamente quando scendiamo dalla
cattedra, quando varchiamo la soglia della
scuola, quando inizia il viaggio. Potremmo
ripensare a delle fasi. La prima è quella del
coraggio sulla porta, la seconda è la più
difficile è quella della lettura pura e
profonda del copione, delle parole, una lettura
non solitaria tra le mura della propria casa,
ma fatta tutti insieme. Ore a leggere un
copione, ad ascoltare gli altri. Prima lezione:
imparare ad ascoltare l’altro, non per quello
che dice ma per cosa lui riesce a far intendere
con il suono della sua voce, di cosa lui vuole
parlare con tutti noi. Poi c’è la nostra
intuizione: “tu per me sei Antigone, tu sei la
nutrice …” Nasce il patto alunno-docente o
meglio “ragazzi-prof”! Questa è la regola: il
gruppo prima di tutto. Ci mettiamo alla prova.
Terza fase: ”dimmi chi pensi che sia il tuo
personaggio…non so forse devi pensare ad altro
…secondo te che cosa ha sentito.. .cosa ha
provato.. alza la tua voce, impara ad
ascoltare...”
Quando il personaggio è
là, non quello del copione, quello nuovo, il
Creonte che cerca la propria identità,
l’Antigone arrabbiata, è arrivato il momento,
quello in cui il ragazzo non è più solo, tira
fuori la sua emotività e parla con l’altro. “Non
ti piace quella parola, cambiamola!” “No prof,
non mi piace, è una cavolata, non significa
niente…” Lo scopo è raggiunto il prof non è più
prof, la fiducia è quasi completa, lì davanti a
noi c’è il personaggio nudo, non bisogna
plagiarlo o plasmarlo ma accompagnarlo in un
processo che ha come scopo la creazione del
gruppo teatro e più “l’altro” è diverso più è
lontano, più il risultato è importante. A questo
punto il gioco è fatto, il rapporto di fiducia
all’interno del gruppo è saldo, non ci sono
orari, i telefonini non si vedono più,
l’attenzione aumenta ad ogni prova, l’esigenza
del singolo è quella del gruppo, non è più il
personaggio ma la nostra rappresentazione, non
quella della del copione, ma quella che tutti
insieme abbiamo scelto e scritto.
Quando il processo è
perfetto, quando ci sembra che le “cose,
tutto sommato, cominciano a funzionare”?
Quando la storia è vera, quando il personaggio
si emoziona quando non c’è la maschera ma il
sentimento che diventa parte della sua crescita
umana e il ragazzo ha imparato ad odiare, ad
urlare, a commuoversi, a piangere, a ridere e la
sua forza si riversa su tutti noi. Il
compromesso con la propria etica di docenti a
favore di quella di uomini si realizza anche
attraverso la complicità che non è mai
permissivismo ma comprensione. C’è differenza
tra l’alunno e il ragazzo che hai aiutato a
crescere? Sì c’è, perché quando il ragazzo lo
rincontri perstrada ti sorride, quando l’alunno
lo ritrovi tra i corridoi della scuola, ti dice
buongiorno ma tu accennando un sorriso non gli
puoi dire che se lo hanno rimandato o bocciato
è perché forse la competenza ha un valore
diverso che non si esprime in voti decimali, ma
le conoscenze quelle sì, quelle bisogna sedersi
e farsele entrare nella testa, e ripeterle
perché sia palese la preparazione, ma lo guardi
negli occhi e ti fa male al cuore perché conosci
quello che ti ha raccontato durante quelle
prove, leggendo e scrivendo un copione, durante
quegli interminabili pomeriggi quando ti ha
insegnato il giusto valore del tuo essere
professore.
Ecco lo spettacolo
finale, non sempre riesce, ma se quelli che
hanno bussato alla porta i primi di ottobre sono
davvero poeti sognanti li guardi e non riesci a
seguirli perché sono attenti, perfetti, certo,
hanno omesso pezzi di copione ma non importa,
perché il nostro è un laboratorio teatrale senza
scenografie, costumi, copioni o attori.
Ecco perché facciamo il
laboratorio, ecco perché continuiamo a fare
quello che per noi è “l’altro teatro”: facciamo
l’unica cosa che sappiamo fare, insegnare la
letteratura attraverso le parole, perché è
insegnare la musica delle poesia, è insegnare a
parlare con parole di altri che poi diventano le
nostre, con parole che diventano un linguaggio
che è parte di noi, perché l’importante è
comunicare, è urlare, è raccontare e a noi è
toccata la funzione e il privilegio di ascoltare
la loro vita, il loro essere, senza interferire,
così, a bassa voce:
“Che dice va bene prof
come è andata ?”
“Perfetta come sempre,
come tutto, forse dovresti…no, hai ragione, è
molto meglio come hai provato tu……”
![](foto/Antigone33.JPG)
per saperne di più:
>
L’IIS Telesi@ al XVIII Festival Internazionale del
Teatro
Classico dei Giovani
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