8 marzo 2011

 

La poesia di Bruno Galluccio e il ribaltamento del conflitto culturale

di Gianclaudio Malgieri

 

Da sempre viviamo nel fragile interspazio tra due trincee opposte: la scienza e le lettere. In un valzer sfiancante in cui scientifico è sinonimo di "intelligente" e umanismo è sinonimo di "cultura", finalmente ci sono degli audaci tentativi di rottura della trincea, la scienza straborda nell'arte e l'arte si colora di scienza e finalmente non ci sono vincitori né vinti. Uno di questi tentativi si chiama Bruno Galluccio, matematico di formazione e poeta di vocazione.

C'è spazio, vita, lacrima, pensiero, etica nelle poesie di Galluccio. In un gioco numerico-simbolico che punta sullo straniamento del lettore umanista e sul sorriso compiaciuto del lettore scientifico. 88 sono le poesie raccolte in "Verticali" (Einaudi, 2009), una delle maggiori raccolte dell'autore. 88 che ricorda il simbolo dell'infinito: perfetto compromesso tra scientificità e umanismo, tra ratio e sentimento. Quell'idea d'infinito che è il punto di partenza e di (non) arrivo sia degli scienziati che dei letterati. Quell'infinito che mette d'accordo Newton e Leopardi, passando per il ruvido contrasto tra Leibniz e Fichte, e così via.

In un mondo che è costretto a "dire addio all'eden degli interi" e che si rifugia nelle "innumerevoli curve sghembe" del nostro tempo.

Una poesia che si presenta come mediazione tra una studiata "architettura" della parola e un'irrazionale incoscienza del poeta nei confronti della strofa, del verso, della parola. Se non fossimo nel 2011 potremmo definire questo tipo di poesia un'avanguardia. La punteggiatura appare e scompare, come in un viaggio teso a renderla inutile agli occhi del lettore. Lo spazio torna ad essere la "forma a priori" che Kant aveva individuato come "forma del senso esterno", una geometria imperfetta e barcollante, come barcollante è questo mondo, in cui il relativismo è diventato parolaccia e parola d'ordine.

"Da dove cominciare da dove /tentare di dividere il sé dal mondo" ci chiede il fisico-poeta. Forse proprio dalla poesia, da quella poesia che pur venendo dalle viscere istintive non è altro che la proiezione della ratio più ragionata possibile: la matematica in versi. Forse perché ragioniamo solo con l'istinto, e quando invece crediamo di usare il cervello non facciamo altro che ordinare gli istinti e le intuizioni, nell'attesa (e nella speranza) di tornare nell'orgia dell'istinto. E non è un caso se il poeta-scienziato per eccellenza, Lucrezio, scrisse la sua grande opera (il De Rerum Natura) "per intervalla insianiae" (durante le pause della sua pazzia). In quegli intervalli egli ordinava ciò che la sua "insania" produceva, plasmava ciò che aveva creato. Basti pensare che il momento creativo per eccellenza dell'essere umano, la pro-creazione, avviene nella totale incoscienza dei corpi e delle anime, nell'ebbro di un orgasmo ragionato e architettato nei nostri radi intervalli di follia.

Ed è stato proprio Bruno Galluccio a dirlo: "quando scrivo non so sempre cosa scrivo, ecco perché amo le letture degli altri". Lo diceva Schelling, nella sua teoria dell'arte, quando sottolineava che l'artista è un mezzo tra assoluto e finito, ed egli stesso non è del tutto cosciente di ciò che crea. Lo stesso Dio ebraico, creò prima il mondo e solo in un secondo momento "vide che era cosa buona".

Se il numero entra nell'inconscio, in questo che sembra un ossimoro mal posto, allora vuol dire che conscio e inconscio si ribaltano e non sappiamo più cosa sia la res e cosa l'illusione. Se il sogno diventa ragionamento, allora la realtà diventa delirio, e noi, che credevamo di aver sconfitto la trincea scienze-lettere, ci troviamo schiacciati in un peggior conflitto: tra ratio e irratio, confondendo la stessa etimologia dei due termini, nel mare dell'incerto. Un incerto che ha "dovuto dire addio all'Eden degli interi" e che ha provocato lo "sconfinare del mondo nelle voci e nei raggi sghembi".

Ed anche questa mia riflessione, che era nata come un pensiero architettato e sistematico, sta sfociando in un viaggio senza uscita, in cui le stesse parole supplicano alle mie dita di nascere su questa tastiera di plastica. Nemmeno io colgo bene il senso di queste frasi, accartocciate goffamente intorno a un'ingenua critica alla poesia di Bruno Galluccio. E ha vinto l'irrazionalità, laddove il sogno è numero e il vero è nuvola.

Gianclaudio Malgieri

Studente del Liceo Scientifico dell'Istituto d'Istruzione Superiore Telesi@ di Telese Terme (BN). Collabora con il quotidiano "Il Corriere del Sannio" come cronista da Telese Terme, ha scritto per "Asclepiadi" e "Il Sannio quotidiano".