Da
sempre viviamo nel fragile interspazio tra due
trincee opposte: la scienza e le lettere. In un
valzer sfiancante in cui scientifico è sinonimo
di "intelligente" e umanismo è sinonimo di
"cultura", finalmente ci sono degli audaci
tentativi di rottura della trincea, la scienza
straborda nell'arte e l'arte si colora di
scienza e finalmente non ci sono vincitori né
vinti. Uno di questi tentativi si chiama Bruno
Galluccio, matematico di formazione e poeta di
vocazione.
C'è spazio, vita, lacrima, pensiero, etica nelle
poesie di Galluccio. In un gioco
numerico-simbolico che punta sullo straniamento
del lettore umanista e sul sorriso compiaciuto
del lettore scientifico. 88 sono le poesie
raccolte in "Verticali" (Einaudi, 2009), una
delle maggiori raccolte dell'autore. 88 che
ricorda il simbolo dell'infinito: perfetto
compromesso tra scientificità e umanismo, tra
ratio e sentimento. Quell'idea d'infinito che è
il punto di partenza e di (non) arrivo sia degli
scienziati che dei letterati. Quell'infinito che
mette d'accordo Newton e Leopardi, passando per
il ruvido contrasto tra Leibniz e Fichte, e così
via.
In
un mondo che è costretto a "dire addio all'eden
degli interi" e che si rifugia nelle
"innumerevoli curve sghembe" del nostro tempo.
Una poesia che si presenta come mediazione tra
una studiata "architettura" della parola e
un'irrazionale incoscienza del poeta nei
confronti della strofa, del verso, della parola.
Se non fossimo nel 2011 potremmo definire questo
tipo di poesia un'avanguardia. La punteggiatura
appare e scompare, come in un viaggio teso a
renderla inutile agli occhi del lettore. Lo
spazio torna ad essere la "forma a priori" che
Kant aveva individuato come "forma del senso
esterno", una geometria imperfetta e
barcollante, come barcollante è questo mondo, in
cui il relativismo è diventato parolaccia e
parola d'ordine.
"Da dove cominciare da dove /tentare di dividere
il sé dal mondo" ci chiede il fisico-poeta.
Forse proprio dalla poesia, da quella poesia che
pur venendo dalle viscere istintive non è altro
che la proiezione della ratio più ragionata
possibile: la matematica in versi. Forse perché
ragioniamo solo con l'istinto, e quando invece
crediamo di usare il cervello non facciamo altro
che ordinare gli istinti e le intuizioni,
nell'attesa (e nella speranza) di tornare
nell'orgia dell'istinto. E non è un caso se il
poeta-scienziato per eccellenza, Lucrezio,
scrisse la sua grande opera (il De Rerum Natura)
"per intervalla insianiae" (durante le pause
della sua pazzia). In quegli intervalli egli
ordinava ciò che la sua "insania" produceva,
plasmava ciò che aveva creato. Basti pensare che
il momento creativo per eccellenza dell'essere
umano, la pro-creazione, avviene nella totale
incoscienza dei corpi e delle anime, nell'ebbro
di un orgasmo ragionato e architettato nei
nostri radi intervalli di follia.
Ed
è stato proprio Bruno Galluccio a dirlo: "quando
scrivo non so sempre cosa scrivo, ecco perché
amo le letture degli altri". Lo diceva Schelling,
nella sua teoria dell'arte, quando sottolineava
che l'artista è un mezzo tra assoluto e finito,
ed egli stesso non è del tutto cosciente di ciò
che crea. Lo stesso Dio ebraico, creò prima il
mondo e solo in un secondo momento "vide che era
cosa buona".
Se
il numero entra nell'inconscio, in questo che
sembra un ossimoro mal posto, allora vuol dire
che conscio e inconscio si ribaltano e non
sappiamo più cosa sia la res e cosa l'illusione.
Se il sogno diventa ragionamento, allora la
realtà diventa delirio, e noi, che credevamo di
aver sconfitto la trincea scienze-lettere, ci
troviamo schiacciati in un peggior conflitto:
tra ratio e irratio, confondendo la stessa
etimologia dei due termini, nel mare
dell'incerto. Un incerto che ha "dovuto dire
addio all'Eden degli interi" e che ha provocato
lo "sconfinare del mondo nelle voci e nei raggi
sghembi".
Ed
anche questa mia riflessione, che era nata come
un pensiero architettato e sistematico, sta
sfociando in un viaggio senza uscita, in cui le
stesse parole supplicano alle mie dita di
nascere su questa tastiera di plastica. Nemmeno
io colgo bene il senso di queste frasi,
accartocciate goffamente intorno a un'ingenua
critica alla poesia di Bruno Galluccio. E ha
vinto l'irrazionalità, laddove il sogno è numero
e il vero è nuvola.
Gianclaudio Malgieri
Studente del Liceo
Scientifico
dell'Istituto
d'Istruzione Superiore
Telesi@ di Telese Terme
(BN). Collabora con il
quotidiano "Il Corriere
del Sannio" come
cronista da Telese
Terme, ha scritto per
"Asclepiadi" e "Il
Sannio quotidiano".
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