di
Gianclaudio Malgieri,
pubblicato il 15/06/2010
Non c’è spazio per l’oltre-cattedra. C’è un
libro, una persona che detta pagine, un gregge
che porta il segno. Ci sono penne e quadratini
da riempire. E il conto alla rovescia per la
fine dell’ora. Chiuso il libro, chiuso il
capitolo, chiuso lo studente. Parola di
studente.
Quando a gennaio incontrai per la prima volta il
Professor Luigi Berlinguer per una
chiacchierata, non avevo mai osato mettere in
discussione ciò che mi sovrastava nella scuola.
Da buon liceale dicevo di sì, i punti
interrogativi erano “problema mio”. Sono stati
il suo sguardo sottile, le sue parole infuocate,
il suo rammarico vivace a spingermi a
considerare il problema “scuola” come un vero
problema. “Vogliono ammazzare la scuola
italiana” disse quasi urlando all’inizio del
nostro incontro. “C’è da sempre una resistenza,
una parte di gente che ama continuare a
crogiolarsi nel suo piccolo passato”. I celebri
gentiliani, coloro che... “sì, punto e basta!”.
Andrebbe a pennello, per loro, un arguto
neologismo inventato da Mario Mieli una trentina
di anni fa: EduCastrazione. Un termine che in
poche lettere bene inquadra gran parte
dell’istruzione italiana odierna. Una education
che si è distorta a squallida castrazione del
sapere. Una scuola dove l’ex-ducere maieutico,
si è trasformato in un volgare in-ducere
totalitario.
Non c’è spazio per l’oltre-cattedra. C’è un
libro, una persona che detta pagine, un gregge
che porta il segno. Esclusivo compito del gregge
è portare il segno. Portare su di sé il segno
indelebile di un saporito nulla di tutto. E ciò
che viene impartito è proprio questo: un po’ di
niente riguardo a un po’ di tutto. Ci sono penne
e quadratini da riempire. E il conto alla
rovescia per la fine dell’ora. Chiuso il libro,
chiuso il capitolo, chiuso lo studente. “Questo
è il sapere, racchiuso in queste 458 pagine ben
rilegate e schematizzate. Imparate tutto, il
prima possibile!” dice affannato il docente
dell’ultima ora.
In
un certo senso il paradigma della produzione di
massa si riflette bene nel “tutto e subito”
della nozione. Scalare la montagna del
fine-libro per potersi definire arrivati.
Rispettare rigidamente i canali della
burocrazia, per snocciolare la Cultura
all’attento uditore.
È
simpatico, però, sapere che già millenni fa
c’era qualcuno che la pensava diversamente. “Le
cose più importanti non ve le ho scritte” perché
la vera cultura è quella non trasmissibile. Lo
dice Platone, e più di lui il grande maestro del
non sapere, il primo pedagogo della storia:
Socrate.
Ma
se cattedre e libri sono così demonizzati dalla
rivoluzione educativa, allora quale sarebbe il
compito della scuola? Non a caso è ancora il
mondo socratico a suggerirci uno spunto: il
sapiente è colui che sa, il saggio è colui che
sa agire.
Ecco, la scuola dovrebbe forse insegnare ad
agire, piuttosto che semplicemente insegnare a
sapere. La conoscenza sia funzionale alla
competenza. C’è tempo per conoscere la formula
di Prostaferesi, ma non c’è molto tempo per
acquisire un metodo che ci faccia spaziare da
quella alle altre centocinquantasettemila
formule della matematica e della fisica.
Lo
dirà più di due millenni dopo Beaumarchais, per
bocca del suo spassoso Barbiere di Siviglia:
“Pour gagner du bien, le savoir faire vaut mieux
que le savoir”. Il saper fare vale molto di più
del semplice sapere. D’altro canto, l’impartizione
rigida della conoscenza potrebbe ben
considerarsi un simbolo totalitario
dell’onnipotenza scientifica del genere umano.
L’uomo che ha sconfitto la sua finitezza in
circa 200mila anni, con scoperte e invenzioni,
non accetta certo di far ripercorre al suo
cucciolo tutta la scalata verso la conquista
individuale e sperimentale del sapere. Ciò che
si è conquistato deve essere dettato,
integralmente e rapidamente, per far evolvere
sempre di più la macchina-uomo.O forse è solo
molto più semplice fare così. Quando un bimbo
chiese a un pescatore di insegnargli a pescare,
il pescatore gli portò un secchio di pesci e lo
mandò a casa con una pacca sul sedere.
L’accesso alla nozione è considerato molto più
vantaggioso della conquista della cultura. La
nozione, infatti, costa poco e frutta molto. La
cultura, invece, costa molto e crea non pochi
problemi per gli establishment del potere.
La
scuola del sì-punto-e-basta annienta la scuola
dei perché. Tra l’intellettuale e il cittadino,
l’Italia ha scelto l’impiegato. Impiegati
educastrati che sanno bene cosa dire, ma molto
poco cosa fare.
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